Uno studio della Oxford University, ha recentemente dimostrato la stretta relazione che esiste tra lavoratori felici e un aumento del 13% della produttività. Inoltre, il livello di felicità di lavoratori e lavoratrici è il principale motivo per cui si rimane o si lascia il proprio lavoro.
In quest’ottica le aziende per aumentare la produttività e “fidelizzare” i propri dipendenti possono mettere a disposizione strumenti di welfare aziendale per raggiungere un’ideale di felicità sul posto di lavoro.
La difficoltà di reperimento del personale è un tema molto attuale nel panorama lavorativo italiano e diverse aziende faticano a trovare figure professionali con competenze ed expertise di cui hanno bisogno.
Ma quali sono le motivazioni?
Secondo i dati raccolti dal Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere, la difficoltà nel reperire personale ha riguardato il 40% delle assunzioni nel 2022, con un importante impatto economico in svariati settori imprenditoriali.
Unioncamere ci mostra che la causa principale di tali difficoltà è la mancanza di candidati e la saturazione del mercato del lavoro: già nel 2017 sarebbe stato difficile completare il 10% delle assunzioni programmate a causa di una bassa offerta di lavoratori; nel 2021 questo valore ha raggiunto il 16% del totale.
La seconda difficoltà riscontrata dalle imprese è l’inadeguatezza delle qualifiche dei candidati.
Questa circostanza riguardava il 10% delle entrate programmate nel 2017 ed è cresciuta nel tempo attestandosi al 13% nel 2021. Il costo del mismatch (disequilibrio tra domanda e offerta) rischia di aumentare nei prossimi anni in considerazione dei macro-trend che stanno già cambiando il mercato del lavoro: la transizione digitale, la transizione green e l’andamento demografico.
Il trend demografico comporterà sia un aumento dei flussi pensionistici e quindi delle uscite dal mercato del lavoro, sia una riduzione del numero di persone in età lavorativa per l’invecchiamento della popolazione (secondo le previsioni Istat fino al 2030 la popolazione di 18-58enni diminuirà ad un tasso dell’1% annuo), aumentando lo shortage gap per mancanza di lavoratori che possano sostituire quelli in uscita.
Secondo recenti statistiche un’impresa su due per crescere e rimanere competitiva dovrebbe aumentare il suo organico nel 2024, ma quasi 9 organizzazioni su 10 non riescono ad assumere.
I talenti non si trovano, ma le difficoltà ci sono anche quando, invece, si trovano.
In particolare, ci sono due fenomeni che preoccupano le Direzioni HR, analizzati dall’Osservatorio HR Politecnico di Milano 2024:
- i rifiuti delle offerte di lavoro (54% dei casi)
- l’abbandono dell’azienda pochi mesi dopo l’assunzione (17%)
Ma perché tanta instabilità?
Uno degli elementi che ha contribuito a generare questa tendenza è una nuova sensibilità e consapevolezza da parte dei lavoratori sull’importanza del proprio benessere. Le persone, complice anche il forzato smart working da Covid del 2020 che ha fatto scoprire nuove modalità di lavoro mai provate prima da tanti lavoratori, vogliono dare maggiore spazio alla propria vita privata. Non a caso, secondo il 7° Rapporto Censis-Eudaimon del 2024, l’87,3% degli occupati sostiene che fare del lavoro il centro della propria vita sia un errore.
Anche per questo, i candidati in cerca di un nuovo impiego a cui non vengono proposti benefit e condizioni di lavoro che permettano loro di ottenere un equilibrio tra vita lavorativa e privata, potrebbero decidere di non candidarsi. Quando invece nuovi assunti lasciano l’azienda dopo pochi mesi, potrebbe significare che c’è stata una discrepanza tra le promesse fatte e le reali condizioni di lavoro.
Quindi, ciò che manca in tutti questi casi e che porta a decisioni drastiche e decisive è la felicità: i dipendenti pare siano infelici a lavoro, l’infelicità porta a insoddisfazione e la mancanza di motivazione abbatte la produttività e porta a dimissioni estemporanee.
Ma cosa rende felici le persone sul lavoro?
L’Italia occupa il posto n. 27 su 30 (dopo la Polonia, prima dell’Ungheria) nella classifica dei Paesi d’Europa per equilibrio vita-lavoro. Un risultato pessimo ma inevitabile, dato che è stato dimostrato che una delle principali fonti di malessere dei lavoratori è l’incapacità di gestire vita lavorativa e vita privata. Solo nel 2024, sono raddoppiati i cosiddetti Job Creeper (13% vs. 6% nel 2023), ovvero coloro che non riescono a
smettere di lavorare e lo fanno in momenti che dovrebbero dedicare alla propria vita privata. Quello del work life balance è un tema molto sentito negli ultimi anni e che è esploso appena dopo la pandemia del 2020. I lavoratori, con tutte le difficoltà del periodo, si sono accorti di cosa voglia dire lavorare da casa, autogestirsi, rimanere tra le mura domestiche, evitare code in tangenziale, ritardi in stazione e lunghi tragitti da pendolari…
È come se le persone avessero riscoperto il proprio tempo. Hanno visto che oltre al lavoro c’è altro e non sono più disposte a sacrificare il proprio benessere per un lavoro che non mette l’equilibrio vita personale – lavoro in primo piano.
Secondo il report 2024 del State of the Global Workplace, i dipendenti italiani riferiscono livelli più elevati di stress (46%) rispetto agli altri paesi europei. Di fatto, un lavoratore su tre si è assentato almeno una volta dal lavoro nell’ultimo anno per motivi di stress o ansia, ma solo un’azienda su due offre servizi a supporto.
Il benessere mentale non dovrebbe mai essere messo in secondo piano, perché ha ripercussioni tangibili e drammatiche sulla persona e sull’intera azienda. Parliamo di frustrazione, stanchezza, stress fino al burnout di cui sono a rischio 8 lavoratori su 10.
Le aziende dovrebbero aiutare le risorse umane a raggiungere un livello di benessere mentale tale da stare meglio e, quindi lavorare al meglio. Grazie a seri programmi di coaching e supporto psicologico per i propri dipendenti è possibile supportare il benessere mentale e, contestualmente determinando un impatto diretto sulla produttività. I lavoratori che si sentono mentalmente bene, infatti, sono più concentrati, energici e capaci di gestire le proprie attività quotidiane con efficienza. Al contrario, lo stress e l’ansia possono ridurre drasticamente la capacità di concentrazione e la produttività complessiva.
Conclusioni
Oggi il mercato del lavoro italiano vede una situazione di mancanza di risorse umane da reclutare, con personale spesso non qualificato e alti livelli di turnover aziendale.
A causa di ciò vi sono molteplici fattori sociali, culturali, economici e demografici che, intersecandosi tra loro, hanno determinato questa situazione di immobilizzazione dei mercati.
La denatalità che caratterizza l’Italia, la riduzione del numero di persone in età lavorativa si incrociano e scontrano con un bisogno dei lavoratori di essere soddisfatti della posizione lavorativa che ricoprono, non tanto in termini economici, quanto in termini di conciliazione tra vita lavorativa e familiare.
Dato il legame scientificamente dimostrato tra felicità delle risorse umane e benessere aziendale, è naturale giungere alla conclusione che la felicità deve essere inserita come asset fondamentale del business. Tuttavia occorre una strategia chiara, per evitare di prendere decisioni sbagliate, efficaci solo nel breve periodo o non adatte alla realtà aziendale.
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